domenica 4 marzo 2012

Presentazione di Manfred Frings al libro Katharsis (1999)

Presentazione di Manfred Frings al libro Katharsis (1999)


È con piacere e allo stesso tempo con un sentimento di riconoscenza che scrivo queste righe per presentare il libro di Guido Cusinato, Katharsis. La morte dell’ego e il divino come apertura al mondo nella prospettiva di Max Scheler.
Negli ultimi tempi il numero delle pubblicazioni sulla filosofia di Max Scheler ha subito un sensibile incremento. I lavori di M. D. Barber, Ph. Blosser, F. Bosio, G. Ferretti, V. Filippone, M. Frings, M. Gabel, W. Henckmann, E. Kelly, A. Lambertino, G. Morra, R. Racinaro, St. F. Schneck, Xiaaogeng Liu e di altri ancora, non meno importanti, hanno promosso una crescente attenzione nei confronti di Max Scheler. A questi studiosi si aggiunge ora Cusinato con un libro stimolante e decisamente innovativo.
L’attuale ripresa di interesse nei confronti di Max Scheler è stata favorita da due condizioni di fondo: a) Solo in tempi recenti i volumi delle sue Gesammelte Werke sono stati pubblicati con una successione più regolare e inoltre solo quest’anno (dopo quarantatré anni di lavoro) la loro edizione è stata condotta a termine; b) Tutta una serie di tendenze e di correnti filosofiche che avevano incontrato ampi favori dopo la fine della seconda guerra mondiale hanno cominciato a recedere dalle posizioni dominanti che avevano raggiunto in tutto il mondo. L’interesse per l’esistenzialismo, la filosofia della scienza, la filosofia analitica, lo strutturalismo, il decostruzionismo, per citarne solo alcune, sembra diminuire mentre quello per Max Scheler si sta diffondendo ulteriormente, anche se lentamente, non solo in Europa (specialmente in Germania e in Italia), ma pure negli Stati Uniti, dove è già presente da una trentina d’anni, e in Asia.
Non è semplice spiegare perché ci sia stato questo graduale cambiamento del clima culturale. Nelle discipline umanistiche ci si è spesso chiesti, senza trovare sempre una risposta, come mai nell’arte, nella letteratura, nell’architettura, si verifichino a volte improvvisi mutamenti di tendenza fino a rivedere giudizi positivi precedentemente espressi. Certe opere d’arte appaiono così improvvisamente obsolete. Chi oggi, fatta eccezione per una minoranza, si dedica alla magnificenza della pittura medioevale? Oppure chi, tranne pochi, legge Milton? Chi trova svago nell’architettura pre-rinascimentale? Qualcosa di simile accadde con Scheler subito dopo la sua morte nel 1928, in un momento cioè in cui era famoso in tutto il mondo. Nel suo caso però è sicuramente individuabile per lo meno un fattore che contribuì non poco a questo cambiamento: l’emarginazione forzata della sua filosofia da parte del regime nazista, fattore che favorì invece altre correnti di pensiero.
Eppure, secondo le testimonianze dei contemporanei, Scheler fu uno dei pensatori più fecondi per la formazione della filosofia del XX secolo. Così Ortega y Gasset parla di lui come della maggiore mente filosofica in Europa. Heidegger riconosce che tutti i maggiori filosofi europei, incluso lui stesso, rimasero influenzati da Scheler. Sartre, dopo aver letto la prima delle maggiori opere di Scheler, il Formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori (1913-1916), osservò che per quanto concerne l’etica non rimane altro da fare che «ricominciare tutto da capo».
Molti concetti centrali del pensiero del nostro secolo, di solito associati a nomi di pensatori come Heidegger, Husserl, Max Weber, Merleau-Ponty, ecc., possono essere rintracciati nelle analisi di Max Scheler. Qui basti citare quello di «utilizzabilità» (Zuhandenheit) in Heidegger, o di «mondo vitale» (Lebenswelt) in Husserl, il concetto sociologico di capitalismo in M. Weber e W. Sombart, o di «corpo» (Leib) in Merleau-Ponty per capire come l’originalità di Scheler sia stata sottovalutata o fraintesa per parecchio tempo.
Il libro di Guido Cusinato non solo riesce a mettere in evidenza la molteplice rilevanza della filosofia di Scheler (per es. quando sottolinea la sua influenza sulla Krisis di Husserl), ma illumina anche nuovi aspetti e apre nuove prospettive di indagine. Questo obiettivo viene raggiunto da Cusinato con rigore metodologico e attraverso uno sforzo teso a verificare tutta una serie di affermazioni che erano state fatte finora in modo forse un po’ troppo affrettato. Per es. egli dimostra che tutto sommato Scheler non era né un dualista né un panteista, come invece spesso si è sostenuto (e questo nonostante Scheler stesso si fosse espressamente definito «panenteista»). L’eccellente familiarità con le opere di Scheler in lingua originale, anche quelle degli ultimi volumi delle Gesammelte Werke, consente a Cusinato di offrire al lettore elementi finalmente efficaci per rivedere parecchi luoghi comuni. In particolare Cusinato ritiene importante, se non cruciale, per la comprensione di un pensiero molto complesso come quello di Scheler, mettere da parte quella categoria interpretativa del «dualismo» fra spirito e vita, che così spesso è stata invece applicata alla sua metafisica. Al suo posto Cusinato suggerisce di intendere la concezione scheleriana della relazione fra spirito e vita, o meglio, fra spirito e pulsione (Geist e Drang), facendo ricorso ad un termine che compare negli ultimi scritti: quello di interpenetrazione (Durchdringung). Il concetto di interpenetrazione è del resto già suggerito in Conoscenza e lavoro quando Scheler parla di «interazione», e non di «dualismo», fra lo spirito e le pulsioni umane che hanno origine nel Drang.
Cusinato reinterpreta inoltre la tesi di Scheler, secondo cui lo spirito senza Drang e senza i fattori reali (sociologici) della vita è impotente a produrre qualsiasi realtà, facendo notare che l’impotenza dello spirito non può venir però estesa anche alla sfera della persona. A tale affermazione si potrebbe obiettare: sostenendo che la persona umana e quella di Dio non sono del tutto impotenti Cusinato tenta, andando contro corrente, di tracciare una distinzione, se non una separazione, fra persona e spirito, eppure Scheler non dice che la persona è «forma» di tutto ciò che è spirituale e che non può agire in sé per produrre qualcosa di reale? Qui l’importante è tener presente che il concetto aristotelico di forma attualizzante rimane un concetto estraneo a Scheler.
Il lavoro di Cusinato merita considerazione anche indipendentemente dalle indagini sul pensiero di Scheler in senso stretto. Fra le suggestive analisi che Cusinato svolge su Platone, il Nuovo Testamento, Schelling, Schopenhauer, e su concetti come etica, ego, eros, agape, essere ecc., le più preziose e originali mi sembrano essere quelle relative all’umiltà (Demut). Invece nella maggior parte della letteratura su Scheler l’umiltà, uno dei tre atti morali fondamentali per accedere all’atteggiamento filosofico, non viene neppure menzionata. L’interpretazione che ne dà Cusinato, ponendola a fondamento di una «riduzione catartica» pensata in contrasto con la consueta riduzione husserliana, offre senz’altro spunti promettenti per le indagini future.
Chi leggerà la presente opera ne potrà trarre arricchimento non solo in relazione alla ricerca su Scheler ma anche per quanto concerne la ricerca filosofica in generale.

Albuquerque                                              Manfred S. Frings
New Mexico, Settembre 1998.          (Presidente Onorario della
                                                  Max Scheler-Gesellschaft)